Quando il sogno mi recinta come un incudine di piombo
ti ricordo caldo di ossa e di sangue
la tua impalcatura di emergenza compiacente
il tuo denso battito di cuore accanto al mio stomaco.
Perché sei entrato nella mia casa
quando la luce scorreva da est
sei una promessa
un inizio perpetuo
la gioia vergine di ciliegi.
Rimani. Incarni. Fai parte.
All'ultimo momento
brucerai lentamente davanti ai miei occhi
come se mai non sei stato rimosso.
Quella mosca che coraggiosa solca
la sonnolenza di fine agosto,
è curiosa e esplora, cerca, indaga,
svolazza vivace verso il cibo,
torna a scrutare,
ed è un’altra e sempre la stessa.
Quella mosca che visse appena ieri e non arriverà all’autunno,
possiede l’adesso e un’ombra fugace,
la sua forzata incoscienza è un infaticabile sforzo,
sottile tenacia dietro la legge della vita.
Quella mosca che indolente si posa
- in una fragile distrazione del destino -
sulla mia coscia al sole, mentre la mia mano
non sa se scomodarsi per cacciarla via,
se dimenticare il suo viavai o zittire la sua esistenza.
Quella mosca sono io
e la mia mano è il tempo.
Poiché non vive l’anima nelle cose
ma nell’azione audace di decifrarle,
io amo la luce sorella che nutre i miei sensi.
Mille volte ho desiderato scoprire chi sono.
Dopo così tanti nomi,
una così grande traversata verso la mia bussola,
potrei abbracciare la sabbia per molti secoli.
Vedere passare il silenzio e continuare ad abbracciarla.
Non è in me la verità, ogni secondo
è un intento fugace di afferrare l’inafferrabile.
Nessuno possiede la verità, e ancora più lontano
giace dal re che da un medicante qualsiasi.
Se qualcuno sta pensando di raggiungerla
non deve dimenticare questo:
il fuoco è sempre stato presagio di declino
così come l’intensità anticamera dell’oblio.
Quando i miei occhi torneranno all’origine,
chiederò un ultimo dono.
Nient’altro esigo da voi.
Ponete nel mio sepolcro le parole.
Quelle che ho detto mille volte
e quelle che avrei desiderato almeno una volta dire.
Conservate nel mio petto le parole.
Quelle che ho usato per amare,
quelle che ho imparato lungo il cammino,
le prime che ho sentito dalle labbra di mia madre.
Avvolgetemi in esse senza paura,
non temete per il loro peso.
Però, prendetevi cura delle parole con te.
Trattatele con rispetto.
Collocatele
sopra il mio cuore.
Nessuno possiede la verità, però, chissà,
le parole potrebbero generarla.
Forse allora colui al quale dissi con te
e per il quale con te fu tutta la sua abitudine,
si coricherà a mio fianco con tenerezza,
insieme nel vuoto più sacro,
quando l’eternità prende la nostra misura,
quando l’eternità si pronuncia con te.
Mi sarebbe piaciuto essere discepola di Icaro.
Sarebbe stato bello festeggiare
le nozze di Callisto e Melibea.
Mi sarebbe piaciuto essere
un’ittita al cospetto della regina Nefertari
il giovane Werther a Rio de Janeiro
la luminosa dama sivigliana
per la quale Don José rifiutò Carmen.
Avrei voluto essere l’orto del poeta
col suo verde albero e il suo pozzo bianco
l’ispettore fiscale
col quale Maiakovski conversava.
Mi sarebbe piaciuto amarti. Te lo giuro.
Solo che a molte volte la volontà non basta.